Celebriamo il Giorno della Memoria, una ricorrenza istituita in Italia dalla legge 211 del 2000 per ricordare le vittime dell’Olocausto, per prevenire che simili atrocità possano accadere ancora.
Dal 2005, con la risoluzione 67, anche l’ONU promuove questa giornata a livello mondiale, sottolineando l’importanza di educare e sensibilizzare affinché il genocidio divenga un lontano ricordo e non debba più ripetersi.
Durante la Shoah milioni di uomini, donne e bambini furono perseguitati, torturati e uccisi per la loro appartenenza religiosa, politica o etnica, furono sterminati nei campi di concentramento, spogliati della loro dignità e della loro umanità. Il ricordo di queste vittime ci impone di riflettere su quanto accaduto, ma anche su ciò che può ancora oggi accadere quando l’odio e l’indifferenza prendono il sopravvento.
Ma il senso di questo giorno non si esaurisce semplicemente nel ricordo di un evento passato, esso ha valore solo se è vissuto, difeso e attualizzato nel presente, non può essere ridotto ad una data sul calendario, ad una ricorrenza o ad una commemorazione. Memoria significa impegno, per ricordare insieme, per tramandare attivamente la consapevolezza che ci permette di agire.
Proprio su questo dobbiamo interrogarci: la memoria, oggi, ci aiuta ancora a diventare sensibili?
È giusto, doveroso fermarsi per ricordare consapevolmente la Shoah, ma è altrettanto fondamentale riconoscere e denunciare in quest’occasione quelle atrocità che si stanno consumando sotto i nostri occhi, perché tenere a mente il passato perde senso, se poi ignoriamo il presente.
A Gaza, oggi, si stanno scrivendo nuove pagine di sofferenza e ingiustizia nella memoria storica. Più di diecimila bambini sono stati uccisi, migliaia di vite sono state spezzate in una striscia di terra che, da diciassette anni, è la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Questo non può essere ignorato, non oggi, non in questa data.
Ricordare l’Olocausto significa dire “mai più” a qualsiasi forma di genocidio, nei confronti di qualsiasi popolo, in qualsiasi parte del mondo. La memoria non è proprietà di uno stato o di un’ideologia: è un valore universale, è un impegno collettivo.
Vogliamo essere generazioni educate a riconoscere e a prevenire la violenza, pertanto è fondamentale che il Giorno della Memoria sia un appello a sensibilizzare, partecipare, agire.
La memoria non è solo un atto di ricordo, è condivisione, impegno per il presente e per il futuro.
Non dimentichiamo.
Non dimentichiamo le vittime dell’Olocausto,
Non dimentichiamo quelle di oggi.
Non dimentichiamo di essere umani.
Carolina Botti / IV B Tecnico Grafico
Poesie sulla Shoah
Se questo è un uomo, Primo Levi
Il primo protagonista dell’Olocausto che dobbiamo necessariamente citare è Primo Levi. Sopravvissuto al punto da non riuscire a convivere con il senso di colpa del salvato, come racconta nella sua opera I sommersi e i salvati, Primo Levi è lo scrittore italiano che più di tutti ha saputo raccontare gli orrori dei campi di concentramento nazisti, essendo stato prigioniero di Auschwitz.
Con Se questo è un uomo e La tregua ha raccontato quegli eventi in modo secco e crudo, lasciando una testimonianza importantissima per i posteri. Ecco la poesia che apre il libro:
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Aprile, Anna Frank
Anna Frank ha lasciato con il suo Diario una delle testimonianze tangibili delle deportazioni naziste più veritiere di sempre. Era solo una ragazza (aveva 13 anni) quando fu costretta a nascondersi insieme alla sua famiglia per non essere deportata dai nazisti da Francoforte sul meno, la città in cui viveva. Dal 1942 al 1944 Anna sarà nascosta insieme ai suoi familiari, annotando sul suo diario tutti gli eventi che vive nei due anni di reclusione forzata, progettando di pubblicarli in un libro a guerra finita.
La storia andrà diversamente: Anna e la sua famiglia saranno arrestati e deportati; solo Otto, il padre di Anna, sopravviverà. Il diario, ritrovato dall’amico di famiglia Miep Gries, sarà pubblicato tre anni dopo, nel 1947.
Prova anche tu,
una volta che ti senti solo
o infelice o triste,
a guardare fuori dalla soffitta
quando il tempo è così bello.
Non le case o i tetti, ma il cielo.
Finché potrai guardare
il cielo senza timori,
sarai sicuro
di essere puro dentro
e tornerai
ad essere Felice.
Un paio di scarpette rosse, Joyce Lussu
Joyce Lussu, scrittrice partigiana, ha scritto C’è un paio di scarpette rosse ricordando la morte dei bambini nei campi di concentramento nazisti. La Shoah è stata anche questo: la morte di tanti bambini e anziani, considerati entrambi inadatti al lavoro e, dunque, improduttivi per il regime nazista. Nella poesia si parte da un’immagine: un paio di scarpette rosse numero 24 poste in cima a una pila di oggetti appartenuti ai prigionieri e ormai svuotati di anima.
C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”.
C’è
un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
Martin Niemöller
Quando i nazisti presero i comunisti,
io non dissi nulla/ perché non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici
io non dissi nulla
perché non ero socialdemocratico.
Quando presero i sindacalisti,
io non dissi nulla
perché non ero sindacalista.
Poi presero gli ebrei,
e io non dissi nulla
perché non ero ebreo.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.
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